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Weston and Sons. Cos'è una tradizione

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Tutti e quattro rivolgono il viso verso papà. Papà guarda qualcosa che sta fuori dalla cornice.

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Edward Weston: Cabbage Leaf, 1931. Gelatin Silver Print. © Center for Creative Photography, Arizona Board of Regents

In quella fotografia scattata negli anni Trenta, le pose di Edward Weston e dei suoi figli, Chandler, Brett, Neil, Cole, sono troppo studiate per non avere un significato.

Del resto, Weston è stato quel fotografo particolare, un fotografo-patriarca; uno dei pochi che potesse dire, vivente, di aver cambiato la storia della fotografia; uno per il quale la realtà - qualsiasi cosa della realtà, un peperone, una duna, un seno, una cipolla, un sasso, un volto, una conchiglia, una tazza di wc - una volta fotografata, diventava una affermazione simbolica sulla realtà.

Weston è un fotografo popolare (tutto ciò che fotografa è riconoscibile, vero ed emozionante), e contemporaneamente è un mistero.

Devozione e sconcerto, affetto e soggezione: ecco cosa sembrano significare gli sguardi dei suoi quattro figli in quel ritratto di gruppo. Ed ecco allora una rara occasione di guardare noi attraverso quegli sguardi.

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Brett Weston: Garrapata Beach, 1954. © Bridgeman Images

Di Weston non si sono viste molte retrospettive in Italia, ma questa che è il cuore del Brescia Photo Festival, edizione dedicata a Le forme del ritratto sicuramente è particolare: Una dinastia di fotografi mette fianco a fianco le opere di padre e due figli, ed anche una nipote (Cara, vivente, figlia di Cole).

E così facendo trasferisce alcuni interrogativi capitali nella storia delle arti (che cos’è una tradizione? Come si trasmette?) nel laboratorio di una genealogia familiare. Cosa succede dunque se il rapporto classico tra maestro e discepolo, tra capostipite ed epigoni, diventa quello fra padre e figli?

Edward Weston fu un padre ingombrante, nella vita dei suoi ragazzi: nel bene e nel male. Questo uomo del nord, dei grandi laghi dell’Illinois, trapiantato nell’estremo West, la San Francisco dei creativi, poi fuggito nell’assolato sud latino del Messico, questo artista ribelle senza ideologie, vegetariano, umorale, orgoglioso e autocritico, fu un padre assieme rigido e bohèmien, assente e affettuosissimo, autorevole e cameratesco.

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Cole Weston: Beach, Wales, 1994. © Cara Weston

Fu sicuramente un rebus per quei ragazzi, nati nell’arco di nove anni tra il 1910 e il 1919, vissuti stabilmente con la madre Flora, matriarca energica e paziente che tollerò le molte avventure del marito, compresa la più passionale, i tre anni con Tina Modotti in Messico.

Un padre che scriveva loro da lontano lettere liriche e appassionate, poi a tratti ricompariva nelle loro vite per portarli con sé in viaggi esotici (in Messico, prima Chan poi Brett), un padre mitizzato, agognato, adorato.

Due soli, però, su quattro, finirono per calcare le orme del papà. Non Chandler, il più grande, testimone dei momenti più fulgidi di Weston, né Neil, che divennero artigiani e costruttori.

Ma Cole, l’ultimogenito, che gli scriveva “spero di diventare un buon figlio di fotografo”; e soprattutto Brett, di cui Weston diceva: “abbiamo lo stesso sguardo sulle cose”, e che “a quattordici anni fotografa meglio di me quando ne avevo trenta”. A diciassette esponeva già, in una mostra leggendaria, Film und Foto, a Stoccarda, di fianco a mostri come Ansel Adams, Edward Steichen e ovviamente suo padre.

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Cara Weston: Dune Ridge II, Death Valley, 2012. Archival Pigment Print. © Cara Weston

È facile a questo punto immaginare quale fosse la sfida di quei due. Dimostrare di non essere la replica del genitore-maestro. Non facile. Papà aveva fotografato di tutto. Brett agli esordi ne fu paralizzato: quando uscivano insieme, se fotografava papà, lui rinunciava.

Scelse allora paesaggi e natura: li fece più astratti, più grafici, più essenziali. Cole giocò una carta audace: scelse il colore, precocemente, coraggiosamente. Entrambi ebbero riconoscimenti, mostre, fama.

Ma oggi, rimettere assieme quella visione di famiglia, ce la fa scoprire più di famiglia di quanto loro non desiderassero. Non è una debolezza autoriale: semmai, è l’effetto dell’inevitabile vicinanza con una fonte di stile troppo potente.

Weston è stato il Chaucer della fotografia del Novecento: con i suoi dettagli al massimo della definizione, con le sue stampe nitide e lucide assassinò senza pietà la già moribonda estetica nebbiosa dei fotografi pittorialisti; con la sua scelta di transustanziare in forma le cose ordinarie aprì la strada alla grande fotografia “del reale” che ha dominato il Novecento.

Devotamente accanto a lui fino alla morte, Brett e Cole, ed anche Cara con i suoi paesaggi monocromi così incisi e quasi tridimensionali, anche se ciascuno a suo modo, parlarono quel linguaggio assorbito fin da bambini.

In mostra, cerchiamo pure le differenze, ma non meravigliamoci delle somiglianze, perché di Weston, immenso padre della fotografia moderna, siamo in fondo tutti quanti figli.

[Una versione di questo articolo è apparsa in Il Venerdì di Repubblica il 18 marzo 2022]


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